L’importanza dell'anca
per la tua qualità di vita

Artriti infiammatorie e altre patologie reumatiche, così come traumi, malformazioni, disordini metabolici, ecc., possono danneggiare gravemente l’articolazione fino a comportare, in alcuni casi, lo sviluppo dell’artrosi.

L’artrosi dell'anca, detta anche coxartrosi, è la più comune tra le patologie dell’anca nell’adulto. La malattia genera dolore e limita i movimenti. Negli stadi più avanzati si possono osservare dolore cronico e severa difficoltà a camminare

Quando i trattamenti conservativi risultano inefficaci, nei casi più gravi si propone l’intervento chirurgico.

In vista dell’intervento, è importante per il paziente poter avere una visione d’insieme della patologia, del tipo d’impianto protesico più adatto e del percorso pre- e post-operatorio da affrontare in quanto una maggiore consapevolezza favorisce la collaborazione e quindi un recupero più rapido e completo.

Anatomia dell'anca
L’anca è l’articolazione più grande del corpo e tra le più flessibili: si stabilisce tra la testa del femore, sferica, e la cavità a lato del bacino, l’acetabolo o cotile. Il bordo del cotile è circondato dal labbro acetabolare, un anello di fibrocartilagine che amplia la superficie di contatto e mantiene la pressione interna per una salda tenuta dell’articolazione. (fig. 1, fig. 2) Le superfici articolari sono ricoperte dalla cartilagine, uno strato di tessuto connettivo elastico e resistente che le preserva dall’attrito, eccetto una piccola area all’interno dell’acetabolo e un’altra sulla testa femorale, dove si inserisce il legamento rotondo.

fig. 1, anatomia dell'anca
fig. 2, articolazione dell'anca, vista anteriore
Un breve segmento osseo, il collo femorale, collega la testa al corpo del femore. Alla base del collo, la parte esterna del femore forma due protuberanze, il grande e il piccolo trocantere: qui si inseriscono i tendini dei vari gruppi muscolari coinvolti nei movimenti (flesso-estensione, abduzione-adduzione, rotazione-circumduzione). La capsula articolare, una guaina di tessuto connettivo fibroso che avvolge interamente l’articolazione, incorpora quattro legamenti, robusti cordoni (o nastri) fibrosi che uniscono le ossa e le mantengono in sede durante i movimenti. Questa struttura capsulo-legamentosa ed altri legamenti stabilizzano   l’articolazione. Anche i muscoli, con la loro forza dinamica, hanno un ruolo importante nella stabilizzazione dell’anca. La capsula articolare al suo interno è rivestita da una membrana di tessuto connettivo, la membrana sinoviale. Questa membrana avvolge le porzioni dei capi articolari contenute dalla capsula (eccetto le superfici articolari ricoperte di cartilagine) e secerne il liquido sinoviale, viscoso e denso, che ha la duplice funzione di lubrificare e nutrire l’articolazione. Le borse sierose (vescicole di liquido sinoviale) situate nella zona trocanterica favoriscono lo scivolamento dei tessuti durante i movimenti e ammortizzano gli attriti.
Alcune patologie articolari dell'anca
Le patologie articolari dell’anca sono numerose e dovute a molteplici cause. Tra queste si osservano patologie articolari degenerative causate dall’usura dell’articolazione, patologie articolari infiammatorie, alcune delle quali sono legate a processi autoimmuni, patologie traumatiche come fratture e lussazioni e patologie post-traumatiche (in esito a traumi). Queste patologie, seppure molto diverse tra loro (livello di gravità, cause, decorso), hanno in comune alcune caratteristiche: causano dolore, limitano i movimenti e possono comportare gravi danni a carico delle articolazioni. Alcune di queste patologie, negli stadi avanzati, possono rivelarsi invalidanti e inficiare la qualità della vita.
Osteoartrosi
L’artrosi dell’anca o coxartrosi è la più comune tra le patologie dell’anca nell'adulto. L’osteoartrosi (o artrosi) è una patologia degenerativa cronica che colpisce le articolazioni ed è caratterizzata dalla progressiva distruzione della cartilagine. Questo processo degenerativo coinvolge l’articolazione nel suo complesso. L’artrosi è la più frequente tra le patologie reumatiche, è molto diffusa nel mondo occidentale e colpisce più di frequente le donne. I sintomidell’artrosi esordiscono intorno ai 50 anni rendendo manifesta la malattia rimasta asintomatica per lungo tempo. L’artrosi può colpire anche soggetti giovani, in seguito a traumi, sovraccarico funzionale, in presenza di malformazioni e altre patologie predisponenti.

Classificazione

La classificazione più comune distingue l’artrosi primaria (idiopatica) e l’artrosi secondaria. Non si conoscono cause specifiche correlate allo sviluppo dell’artrosi primaria, esordisce intorno ai 50 anni, dimostra una predisposizione genetica e può interessare più articolazioni. Dell’artrosi secondaria invece, si conoscono gli eventi e le patologie a cui è correlata, ad esempio traumi, malformazioni ed altre patologie predisponenti. Questa distinzione può risultare riduttiva in quanto alcuni aspetti della malattia sono potenzialmente riconducibili sia all’artrosi primaria sia all’artrosi secondaria. Una classificazione più specifica sarà possibile quando le conoscenze sull’artrosi saranno più progredite.

Cartilagine

L’artrosi è caratterizzata dalla degradazione della cartilagine, dell’osso e delle altre strutture articolari. La cartilagine articolare è un tessuto connettivo specializzato, elastico e molto resistente, levigato, di colore bianco perlaceo. La cartilagine riveste interamente le superfici articolari, le preserva dall’attrito durante i movimenti, consente il fluido scivolamento dei capi articolari e ammortizza il carico. La cartilagine non è vascolarizzata per cui le sue capacità rigenerative sono molto scarse e il nutrimento è fornito dal liquido sinoviale.

Cause e fattori di rischio

L’artrosi si sviluppa in età e con tempi diversi, in presenza di differenti condizioni e stati patologici predisponenti. Le lesioni cartilaginee, di differente gravità, coinvolgono tutte le strutture articolari con specifiche alterazioni. La causa prima dell’artrosi non è ancora certa.
  • L’età avanzata può comportare l’usura della cartilagine come conseguenza dell’uso prolungato dell’articolazione. L’invecchiamento di per sé non è causa di artrosi, tuttavia determina un indebolimento della cartilagine che la predispone alle lesioni: perde progressivamente elasticità e resistenza all’attrito e non essendo più in grado di sostenere i carichi sviluppa lesioni più o meno gravi.
  • Il sovraccarico funzionale dovuto all’uso eccessivo di una o più articolazioni (sforzi e movimenti ripetitivi richiesti in alcune attività lavorative e sportive) genera microtraumi che nel tempo possono causare l’usura delle cartilagini; in questi casi l’artrosi può colpire anche soggetti giovani.
  • I traumi come fratture, lussazioni e gravi distorsioni, le malformazioni (displasia dell’anca, deformità assiali in varo e in valgo del ginocchio), possono determinare l’incongruenza delle superfici articolari (non sono più perfettamente aderenti) per la quale i carichi non si distribuiscono in modo uniforme sulle superfici articolari, inoltre, durante i movimenti si genera un attrito anomalo che stressa la cartilagine provocandone l’usura precoce. I traumi possono causare instabilità articolare e, più raramente, lesioni dirette alla cartilagine.
  • Numerose altre patologie possono alterare la meccanica e la biologia delle strutture articolari e comportare il progressivo deterioramento della cartilagine, anche precoce. Alcuni esempi: patologie metaboliche ed endocrine, come diabete, obesità, iperparatiroidismo; patologie osteoarticolari come >necrosiasettica, spondiloartrite; artriti settiche; artriti infiammatorie (artrite reumatoide, artrite psoriasica); artriti da cristalli (gotta); alcune malattie ereditarie (sindrome di Ehlers-Danlos, emocromatosi, sindrome di Marfan).

Sviluppo dell’artrosi

La cartilagine danneggiata si assottiglia progressivamente fino a esporre, con gradualità, l’osso sottostante. (fig. 3, fig. 4) L’osso reagisce al processo degenerativo addensandosi (sclerosi), molto spesso produce piccole formazioni appuntite (osteofiti) lungo i margini delle superfici articolari e piccole cavità ossee (pseudocisti o geodi). Il processo degenerativo coinvolge le altre strutture articolari: la membrana sinoviale si ispessisce, la capsula diviene fibrotica. Anche i legamenti possono diventare fibrotici e retratti, i menischi possono lesionarsi. I muscoli, per la diminuita funzionalità, perdono forza, massa e tono. L’articolazione è dolorante, tumefatta e rigida. Nei casi più avanzati si osservano deformità e severa limitazione funzionale. Le articolazioni più colpite dall’artrosi sono quelle maggiormente sottoposte a carico: ginocchio, anca, spalla, mani, piedi e colonna vertebrale.
fig. 3, articolazione dell’anca normale
fig. 4, artrosi dell’anca

Prevenzione

Adottare un corretto stile di vita consente di controllare alcuni fattori di rischio che favoriscono l’artrosi: mantenere il peso forma; evitare posture scorrette, carichi eccessivi e ripetuti, attività sportive ad alto impatto sull’articolazione; praticare regolarmente una moderata attività fisica per mantenere la muscolatura forte e tonica; non fumare; seguire una dieta varia ed equilibrata. Qualora l’artrosi sia presente, a maggior ragione sarà importante osservare regole salutari e praticare una attività fisica adeguata, per non agevolare il processo artrosico e per mantenere in forma l’organismo nel suo complesso.
Non esistono, ad oggi, trattamenti risolutivi per l’artrosi e quando le terapie farmacologiche, la fisioterapia e la chirurgica conservativa non sono più efficaci, si può ricorrere alla sostituzione dell’articolazione con una protesi.
L'artrosi post-traumatica dell’anca
L’artrosi post-traumatica dell’anca è una diffusa patologia degenerativa cronica che si sviluppa in seguito a traumi ad alta energia (incidenti stradali, infortuni lavorativi e sportivi) che hanno provocato lussazione dell’articolazione, fratture, lesioni alla cartilagine e al labbro acetabolare, lesioni e lassità della struttura capsulo-legamentosa. In molti casi dopo un trauma le strutture dell’articolazione non guariscono perfettamente, ad esempio le fratture possono generare anomalie della meccanica articolare, oppure lesioni alla capsula, ai legamenti e al cercine che possono comportare instabilità di vario grado. Si può determinare una incongruenza delle superfici articolari non più perfettamente aderenti, ad esempio a causa di esiti di fratture o per instabilità. La perdita della congruenza è causa di irregolare distribuzione dei carichi sulle superfici articolari e produce un “attrito anomalo” durante i movimenti. Tutto questo comporta il deterioramento progressivo della cartilagine e conseguente sviluppo dell’artrosi. L’artrosi post-traumatica può manifestarsi anche diversi anni dopo l’evento traumatico.
Instabilità articolare dell’anca dell’adulto
L’articolazione dell’anca è molto stabile grazie alla propria conformazione: la testa femorale è quasi interamente inserita nell’acetabolo e questo stabilisce una salda unione tra i due capi, rafforzata dal legamento rotondo e dal labbro acetabolare. La struttura capsulo-legamentosa e altri legamenti esercitano una forte azione di contenimento (stabilizzante) che mantiene in sede la testa del femore; i muscoli, inoltre, intervengono come stabilizzatori dinamici. L’instabilità dell’anca è una patologia rara e interessa in prevalenza gli sportivi (golf, atletica, ecc.). Può essere difficile da diagnosticare e presenta vari livelli di gravità. L’instabilità dell’anca è determinata da una eccessiva libertà di movimento della testa femorale che ha perduto il perfetto allineamento con l’acetabolo. Il movimento eccessivo è dovuto a patologie delle strutture di contenimento dell’articolazione: ad esempio lassità della struttura capsulo-legamentosa -che può anche essere congenita- e lesioni capsulo-legamentose causate da traumi ad alta energia come fratture e lussazioni. Anche lesioni del labbro   acetabolare, più raramente dei tendini e dei muscoli, possono alterare la biomeccanica dell’articolazione fino a comportare l’instabilità. I trattamenti variano in base al tipo di lesione, ad esempio in artroscopia si possono trattare lesioni capsulo-legamentose e del labbro. La fisioterapia è fondamentale per riequilibrare la funzionalità dell’arto e per rafforzare e tonificare i muscoli che concorrono a stabilizzare l’articolazione. Una adeguata muscolatura, inoltre, è molto importante nella prevenzione dell’instabilità dell’anca, in special modo per gli sportivi. L’instabilità dell’anca può essere causata anche da anomalie morfologiche come nella displasia evolutiva dell’anca. Quando la displasia è diagnosticata alla nascita può essere trattata con eccellenti risultati, invece quando viene diagnosticata in età adulta, l’instabilità ha avuto il tempo di causare danni più o meno gravi. Nei casi più estremi si osserva la migrazione della testa femorale oltre l’acetabolo (lussazione inveterata dell’anca).
Artrite reumatoide
Le grandi articolazioni dell’anca, del ginocchio e della spalla possono essere colpite dall’artrite reumatoide. L’artrite reumatoide è la più frequente tra le artriti infiammatorie croniche, è di natura autoimmune e colpisce prevalentemente le donne tra 40 e 50 anni. La membrana sinoviale riveste interamente le articolazioni ed è l’oggetto principale del processo autoimmune che, attivando cellule infiammatorie e autoanticorpi, sviluppa un’infiammazione (sinovite) acuta che si auto-mantiene e cronicizza. Con l’aggravarsi del processo infiammatorio la membrana si ispessisce e forma un nuovo tessuto molto vascolarizzato (panno articolare) ricco di enzimi che degradano progressivamente le cartilagini ed erodono l’osso sottostante. L’infiammazione danneggia anche i tendini, i legamenti e la capsula articolare. La malattia tende a colpire altre piccole articolazioni, la colonna vertebrale e le grandi articolazioni del ginocchio, della spalla e dell’anca. In alcuni casi l’artrite reumatoide coinvolge anche altri tessuti e organi come la cute, i polmoni e l’occhio. La patologia presenta vari livelli di gravità in base al periodo in cui si sviluppano le erosioni ossee, alla loro gravità e diffusione. L’esordio dell’artrite reumatoide è molto diversificato e i sintomi rispecchiano la gravità della malattia. Generalmente all’inizio colpisce le piccole articolazioni delle mani e dei polsi, spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra) per poi progredire coinvolgendo altre articolazioni. I sintomi principali sono il dolore, la caratteristica rigidità duratura al mattino, tumefazione e limitazione funzionale. Con la progressione della malattia il dolore è più persistente ed i movimenti sono più difficoltosi. Negli stadi avanzati si osservano deformità delle articolazioni e, spesso, la perdita totale della flessibilità articolare (anchilosi). Nella maggioranza dei casi l’artrite reumatoide presenta una lenta evoluzione in cui si alternano fasi attive a periodi di quiescenza. Nelle forme aggressive si riscontra una rapida progressione delle lesioni articolari. Si osserva, inoltre, una minoranza di forme benigne autolimitanti. I trattamenti sono volti a rallentare il processo infiammatorio, ad alleviare i sintomi e, nei casi possibili, a provocare la regressione dell’infiammazione.
Necrosi avascolare
La necrosi avascolare, detta anche osteonecrosi, colpisce aree ossee delimitate, in particolar modo la superficie articolare delle estremità (epifisi) delle ossa lunghe, molto spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra). La necrosi avascolare si verifica per il mancato afflusso di sangue al tessuto osseo che causa la morte delle cellule per assenza di nutrimento e ossigeno. Il processo necrotico determina piccole fratture localizzate che destrutturano il tessuto osseo fino a comportare, nel tempo, il collasso (crollo) dell’osso. La diagnosi precoce della malattia consente di ricorrere ai trattamenti possibili, con risultati spesso soddisfacenti. Quando non trattata o quando i trattamenti non raggiungono i risultati sperati, la necrosi avascolare comporta lo sviluppo dell’artrosi. L’articolazione dell’anca è in assoluto la più colpita da questa patologia, seguita, in misura minore, da ginocchio, spalla, polso, caviglia, mandibola. La necrosi avascolare colpisce anche altre articolazioni e regioni ossee non articolari. Le patologie e le condizioni correlate allo sviluppo della necrosi avascolare sono molteplici: patologie di origine traumatica come fratture, lussazioni e lesioni dei vasi sanguigni; tra le condizioni più frequenti si osservano terapie cortisoniche a lungo termine e alcolismo; seguono chemioterapia, radioterapia, embolie, lupus eritematoso, anemia falciforme, trombosi, HIV, cirrosi epatica, morbo di Crohn, diabete, ecc. Nell’anca le lesioni necrotiche si verificano nell’area apicale della testa del femore. (fig. 5) I sintomi di esordio della necrosi femorale sono simili a quelli della coxartrosi. Nelle fasi iniziali della malattia si può ricorrere a trattamenti incruenti: farmaci, terapie con onde d’urto, campi elettromagnetici, camera iperbarica. Sempre nelle fasi iniziali, soprattutto in assenza di collasso dell’osso, può essere indicato l’intervento chirurgico, in special modo per pazienti molto giovani. Gli interventi possibili sono numerosi e mirano a ristabilire l’afflusso di sangue ed a stimolare la rigenerazione dell’osso, tra questi i più eseguiti sono gli interventi di decompressione del nucleo della testa femorale e il trapianto osseo. Una tecnica chirurgica emergente (SOIB) si avvale di una piccola vite cava che si impianta nella testa femorale e funge da veicolo per farmaci e preparati rigenerativi dell’osso. Nei casi non trattati o che non rispondono positivamente alle cure, la destrutturazione dell’osso determina il collasso della parte superiore della testa femorale e conseguente sviluppo della coxartrosi.

fig. 5, necrosi avascolare asettica della testa femorale
By Jmarchn [CC BY-SA 3.0 or GFDL], from Wikimedia Commons
Specifiche patologie dell'anca

Conflitto Femoro-Acetabolare (FAI)

Questa patologia è dovuta all’imperfetta conformazione anatomica dei capi articolari (uno o entrambi) che determina un attrito anomalo della testa del femore sul labbro acetabolare durante i movimenti. Gli urti nel tempo provocano lesioni al labbro acetabolare di varia entità. Il labbro è un anello di fibrocartilagine che contorna il bordo dell’acetabolo come una guarnizione: ampliando la superficie di contatto della testa femorale, sopporta parte del carico e dà maggiore stabilità all’articolazione, inoltre ammortizza gli attriti della testa sul bordo del cotile nelle occasioni di massima escursione dei movimenti e mantiene la giusta pressione del liquido sinoviale all’interno dell’articolazione. La malattia è più frequente tra i giovani adulti, in particolar modo tra gli sportivi, può esordire in modo subdolo ed episodico, ad esempio dopo uno sforzo fisico, solitamente con dolore a livello dell’inguine o del gluteo. L’esecuzione di movimenti estremi, fino al limite permesso dall’articolazione, favorisce il conflitto. Nelle persone sedentarie, infatti, il conflitto può restare silente tutta la vita. Esistono tre tipi di conflitto:
  • nel conflitto CAM (fig. 6, al centro) il punto di giunzione tra il collo femorale e la testa presenta un rigonfiamento osseo che urta il labbro acetabolare durante i movimenti. L’attrito, nel tempo, causa lesioni al labbro e alla cartilagine. Il conflitto CAM è più diffuso nei giovani adulti.
  • Il conflitto Pincer (fig. 6, a destra) invece, presenta l’acetabolo troppo avvolgente. La testa femorale, ruotando, urta il bordo del labbro e ne causa la lesione. Il conflitto Pincer è più frequente nelle donne adulte.
  • Il conflitto misto  è dato dall’associazione dei primi due ed è il più diffuso.
fig 6, articolazione normale (a sinistra), conflitto CAM (al centro), conflitto PINCER (a destra)
Il labbro lesionato perde le capacità stabilizzanti e si possono determinare alterazioni della rotazione dell’anca. Ognuno dei conflitti può causare lesioni alla cartilagine e all’osso e relativo processo degenerativo delle altre strutture articolari. La diagnosi precoce della malattia permette di correggere le anomalie e di prevenire lo sviluppo di una coxartrosi precoce.
Patologie infantili dell’anca

La displasia evolutiva dell’anca

La displasia evolutiva dell’anca è la più diffusa tra le patologie infantili dell’anca, colpisce in prevalenza le femmine e i nati con parto podalico. La patologia presenta differenti gradi di gravità sin dalla nascita: l’anca può essere instabile, per cui tende a lussarsi, o essere già lussata, a causa di lassità capsulo-legamentosa e/o di anomalie dell’acetabolo che impediscono alla testa femorale di articolarsi correttamente. La diagnosi precoce, entro i primi due mesi di vita, permette il recupero completo nella quasi totalità dei casi con un trattamento conservativo. Anche dopo i 2/3 mesi di età fino al cammino, i trattamenti conservativi sono generalmente efficaci. Una diagnosi tardiva, appena dopo il cammino, può rilevare la lussazione dell’anca e richiedere trattamenti più impegnativi. La malattia evolve durante i primi anni di vita causando danni all’articolazione; in questa fase i trattamenti sono chirurgici e i risultati variano in base all’età in cui la displasia è stata diagnosticata. Quando non è diagnosticata in tempo utile per un trattamento risolutivo, la displasia dell’anca lascia esiti permanenti di vario grado di gravità e comporta il rischio elevato di sviluppare una coxartrosi precoce.(fig. 7) Nella maggior parte dei casi si riscontra l’anomalia dell'acetabolo, cresciuto piatto e con margini sfuggenti, che non può accogliere perfettamente la testa femorale. Nei casi più gravi, l’instabilità conduce al dislocamento della testa oltre il bordo dell’acetabolo (lussazione inveterata dell’anca) che può determinarsi anche in pazienti molto giovani. I trattamenti chirurgici sono complessi, in giovane età si possono eseguire osteotomie del bacino e/o del femore che mirano a correggere la posizione dei capi articolari ed a prevenire, o almeno a ritardare il più possibile, il processo artrosico.

fig. 7, displasia dell’anca di I grado nell’adulto

La malattia di Perthes

La malattia di Perthes colpisce tra i 2 e gli 11 anni circa, i maschi più di frequente, determinando lesioni necrotiche al tessuto della testa femorale (in accrescimento) dovute a mancata perfusione sanguigna. L’episodio di necrosi è seguito da una fase riparativa: l’area lesionata si rivascolarizza e produce nuovo tessuto. La malattia può durare due o tre anni. L'esordio della malattia è lento: dolore moderato all’inguine o al ginocchio, zoppia dopo esercizio fisico. Più avanti il dolore aumenta, la zoppia si aggrava e i movimenti sono limitati. La diagnosi precoce prima dei 4/5 anni è fondamentale: il trattamento a quest’età è generalmente conservativo e permette un recupero completo, solo nei casi gravi si ricorre all’intervento chirurgico. Una diagnosi oltre i 6/7anni richiede l’intervento chirurgico che a volte non raggiunge i risultati sperati: quando il rimodellamento della testa femorale non avviene perfettamente, la residua deformità comporta un’alterazione dei movimenti dell’anca. L’incongruenza articolare causa l’usura eccessiva della cartilagine e conseguente sviluppo di artrosi precoce. Quando la malattia insorge dopo i 9/10 anni, il rischio di sviluppare una coxartrosi precoce è elevato.

Epifisiolisi

L’epifisiolisi colpisce durante l’adolescenza, in prevalenza i maschi, ed è spesso associata a obesità. La malattia determina lo scivolamento della testa femorale verso il basso dovuto a lesioni della cartilagine di accrescimento dell’epifisi prossimale del femore. L'epifisiolisi acuta esordisce con dolore improvviso. L’evento acuto costituisce un’emergenza chirurgica poiché lo scivolamento repentino della testa femorale può causare una sofferenza vascolare e provocare una necrosi ossea. A volte succede che l’epifisiolisi cronica evolve rapidamente causando un episodio acuto. L’epifisiolisi cronica è subdola. Il lento scivolamento della testa femorale provoca inizialmente dolore sfumato e zoppia occasionale. I sintomi si aggravano nel tempo. Nella forma cronica è raro il verificarsi di una necrosi alla testa femorale poiché la lenta modificazione della posizione della testa consente un adattamento dell’articolazione e dei vasi sanguigni. La diagnosi precoce è fondamentale per consentire prima possibile il trattamento che in genere ottiene buoni risultati. Se la malattia non è diagnosticata in tempo, lo scivolamento progredisce causando la lenta deformazione della testa e del collo femorale; al termine dell’accrescimento la cartilagine di coniugazione si ossifica comportando la definitiva deformità del capo articolare. I trattamenti chirurgici, mirati a ristabilire la corretta posizione della testa femorale, variano in base alla natura acuta o cronica della malattia e al grado di scivolamento della testa del femore. Questa patologia comporta un alto rischio di sviluppare una coxartrosi precoce.
Quali sono i sintomi dell'artrosi dell'anca?
  • All’inizio si può avvertire un dolore all’inguine, nell’area anteriore o laterale della coscia, a volte al gluteo; in alcuni casi il dolore può irradiarsi al ginocchio.
  • Dolore e gonfiore risultano accentuati dopo un periodo di inattività, specialmente al mattino.
  • Si può avvertire una sensazione di debolezza dell’arto associata ad una limitazione del ROM (Range Of Motion: l’ampiezza massima di movimento, misurata in gradi, che l’articolazione può raggiungere).
  • Con l’aggravarsi della malattia si può avvertire un dolore acuto nell’eseguire i movimenti che rende difficile svolgere le più semplici attività quotidiane come camminare, accucciarsi, lavarsi, vestirsi, tagliare le unghie dei piedi, alzarsi da una sedia.
  • Nelle fasi avanzate il dolore aumenta salendo e scendendo le scale, dopo aver camminato per brevi tratti, inoltre può impedire il restare seduti correttamente.
  • Il dolore, da moderato ad acuto, si può avvertire anche a riposo e a volte può impedire il sonno.
  • I cambiamenti meteorologici possono accentuare l'intensità del dolore.
Trattamenti dell'artrosi dell'anca
I trattamenti dell’artrosi dell’anca sono volti ad alleviare il dolore ed a rallentare il processo artrosico.
  • Nella fase iniziale la malattia è trattata con farmaci antidolorifici e antiinfiammatori.
  • Sono consigliati integratori alimentari a base di condroprotettori, da assumere a periodi.
  • Sono indicate infiltrazioni intra-articolari con acido ialuronico (condroprotettore) volte a rallentare la degenerazione della cartilagine.
  • Si consiglia di evitare le attività fisiche ad alto impatto sull’articolazione e di interrompere quelle attività che causano dolore durante o dopo l’esercizio.
  • Fisiokinesiterapia e una moderata attività fisica a basso impatto sull’articolazione dell’anca come il nuoto, la cyclette, la camminata, a patto che non causino dolore, sono molto importanti per rafforzare i muscoli e per mantenere la mobilità articolare.
  • In alcuni casi si eseguono infiltrazioni intra-articolari con cortisone.
  • Il calo ponderale è fondamentale per diminuire il carico sull’articolazione.
  • L’utilizzo delle stampelle è utile per diminuire il carico durante i movimenti.
Quando farmaci, terapie intra-articolari, trattamenti artroscopici e fisioterapia non sono più efficaci, nei casi più gravi si propone la sostituzione dell’articolazione dell’anca. L’intervento è volto a eliminare il dolore e a recuperare la mobilità dell’arto. È importante che l’intervento venga pianificato in accordo tra il paziente e la sua famiglia, il medico di base e il chirurgo ortopedico.
Impianti protesici dell'anca
Le moderne tecniche chirurgiche e il progresso tecnologico oggi consentono di affrontare differenti situazioni cliniche e di offrire al paziente un rapido recupero post-operatorio, una elevata funzionalità articolare e una lunga durata dell’impianto. Gli impianti protesici attuali, performanti e diversificati, sono realizzati con materiali di elevata resistenza all’usura e ottima biocompatibilità. La protesi dell’anca, (fig. 8, fig. 9) disponibile in diversi modelli e in varie dimensioni, è costituita da quattro componenti realizzate in polietilene, ceramica e titanio. La cavità cotiloidea accoglie la coppa acetabolare in titanio nella quale va posizionato l’inserto -in polietilene o ceramica- che costituisce la superficie di contatto della testina femorale; quest’ultima, realizzata in metallo o ceramica, viene assemblata allo stelo in titanio che va inserito nel canale femorale. Oggi questi impianti sono privi di nichel.
fig. 8, esempio di impianto completo
fig. 9, componenti protesi d’anca: coppa acetabolare e inserto
Le componenti protesiche in genere sono fissate all’osso ospite a pressione (press-fit); con questa operazione si ottiene la stabilità primaria dell’impianto; successivamente, con il processo di osteo-integrazione (il tessuto osseo, crescendo, penetra e si ancora alla superficie rugosa della componente) si realizza la stabilità secondaria. Nei casi in cui la qualità dell’osso non è ottimale, ad esempio nei pazienti affetti da grave osteoporosi, la protesi viene cementata. La scelta del modello di protesi da utilizzare è operata dal chirurgo in base alla valutazione di diversi parametri: età del paziente, solidità dell’osso, danno articolare, patologie di base, peso, ecc.
L'intervento chirurgico

Prima dell’intervento

Nel periodo preoperatorio vengono effettuati esami strumentali, analisi biochimiche e visite mediche volti ad accertare che le condizioni di salute del paziente siano idonee ad affrontare l’intervento: si accerta l’assenza di patologie silenti pericolose per l’intervento, si esaminano eventuali patologie presenti e terapie in atto.

Il giorno dell’intervento

Al paziente viene somministrato un farmaco per favorire il rilassamento e viene invitato a rimanere a letto.

In sala operatoria

Il paziente viene accompagnato in un’area preoperatoria dove un operatore predispone l’accesso venoso inserendogli una cannula in una vena dell’avambraccio o della mano. Questo presidio è necessario per l’infusione endovenosa di fluidi e farmaci durante l’intervento. Successivamente il paziente viene condotto in sala operatoria e posizionato sul letto chirurgico dove l’anestesista procede all’induzione dell’anestesia e al monitoraggio continuo delle funzioni vitali fino al momento del risveglio. Alcuni tipi di anestesia rendono insensibile solo il distretto corporeo da operare e lasciano il paziente cosciente, l’anestesia generale invece lo addormenta profondamente: il paziente non avverte dolore, non si accorge di ciò che avviene intorno a sé e non avrà ricordi. Il tipo di anestesia viene deciso dall’anestesista in base ai protocolli vigenti.

Come si svolge l’intervento

Per accedere all’articolazione dell’anca il chirurgo pratica un’incisione anteriore mininvasiva, laterale o posterolaterale secondo le esigenze; il secondo passo è spostare la testa femorale dall’acetabolo e rimuoverla tagliando il collo del femore. A questo punto, utilizzando un alesatore, vengono eliminati i residui di cartilagine dalla cavità acetabolare e viene modellato l’acetabolo per permettere il perfetto inserimento della coppa; dopo il posizionamento della coppa cotiloidea (che subirà il processo di osteo-integrazione) viene introdotto l’inserto. Si prosegue con la preparazione dell’estremità del femore: con speciali raspe viene fresata la parte prossimale del femore che deve accogliere lo stelo protesico; a questo punto si inserisce lo stelo nel canale femorale (subirà il processo di osteo-integrazione) e la testina viene assemblata sul collo dello stelo. Una volta ricontrollate tutte le componenti e la stabilità dell’impianto, la nuova articolazione viene ridotta (la testina femorale viene inserita nella coppa acetabolare) e si conclude con la sutura dell’incisione. (fig. 10, fig. 11, fig. 12)

fig. 10, artroprotesi dell’anca
fig. 11, anca displasica
fig. 12, anca displasica dopo l’intervento di artroprotesi

Familiari

Familiari e amici possono rimanere nell’apposita area di attesa mentre il paziente è in sala operatoria; al termine dell’intervento il chirurgo informa i congiunti sulle condizioni generali del paziente e sull’intervento. Il paziente rimane per breve tempo nella sala di risveglio poi viene ricondotto nella stanza dove potrà ricevere le visite.

Dopo l'intervento

Per qualche giorno il paziente deve rimanere in ospedale dove è monitorato dai medici e dal personale infermieristico. I fisioterapisti lo istruiscono sulla corretta esecuzione di esercizi fisici volti a riacquistare il movimento. Il dolore post-operatorio è temporaneo. Alle dimissioni vengono fornite le indicazioni da seguire per una corretta riabilitazione dell’arto, ad esempio quali movimenti evitare, come sedersi, come scendere e salire le scale, inoltre viene prescritto un programma di esercizi da eseguire a casa o presso una struttura dedicata. Con la ripresa delle attività quotidiane il paziente nota un progressivo aumento di forza e resistenza dell’arto, tuttavia nei primi tempi alcune attività devono essere evitate, ad esempio saltare, correre, sollevare pesi eccessivi, praticare sport di contatto. Sono invece consigliate attività a basso impatto sull’articolazione come il nuoto e la camminata, che vanno intraprese in accordo con il chirurgo.
Domande più frequenti

Quanto si rimane in ospedale?

In genere da 4 a 7 giorni dopo l'intervento ma dipende da molti fattori ed è il chirurgo a stabilire la durata della degenza.

Se il paziente vive solo avrà bisogno di un aiuto in casa?

Sì, è consigliabile l’aiuto di qualcuno per svolgere i lavori domestici più pesanti e per essere accompagnati in auto. Non è necessario personale specializzato, possono svolgere questi compiti una persona di famiglia o un amico, in grado di somministrare farmaci e tenere in ordine i bendaggi.

Quali ausili bisogna procurarsi in vista del ritorno a casa?

Un deambulatore o le stampelle. Il fisioterapista e il medico indirizzano verso l’una o l’altra soluzione valutando quale dei due ausili sia il più sicuro e per quanto tempo debba essere usato.

Dopo l’intervento è necessaria la fisioterapia?

Il programma personalizzato di riabilitazione, pianificato dal chirurgo e dal fisioterapista, inizia in ospedale subito dopo l’intervento e deve proseguire, a casa o presso una struttura dedicata, con l’esecuzione scrupolosa degli esercizi prescritti volti ad aumentare il ROM e la forza.

Quando si può riprendere a guidare?

Il paziente deve far riferimento al chirurgo per conoscere con precisione i tempi di recupero che sono legati alla tecnica chirurgica e al tipo di protesi, inoltre va valutato se l’intervento è stato eseguito all’arto destro o sinistro. Va considerato anche il tipo di auto guidata.

Quando si può tornare al lavoro?

I progressi conseguiti in fase riabilitativa e il tipo di lavoro sono fattori determinanti per stabilire quando rientrare: un lavoro pesante richiede tempi di recupero più lunghi rispetto a un impiego sedentario. Generalmente è necessario un periodo di riposo e cure da uno a tre mesi, in base al tipo di intervento, alle condizioni di salute del paziente ed alle attività che si dovranno riprendere.

L’importanza dell'anca
per la tua qualità di vita

Artriti infiammatorie e altre patologie reumatiche, così come traumi, malformazioni, disordini metabolici, ecc., possono danneggiare gravemente l’articolazione fino a comportare, in alcuni casi, lo sviluppo dell’artrosi.

L’artrosi dell'anca, detta anche coxartrosi, è la più comune tra le patologie dell’anca nell’adulto. La malattia genera dolore e limita i movimenti. Negli stadi più avanzati si possono osservare dolore cronico e severa difficoltà a camminare.

Quando i trattamenti conservativi risultano inefficaci, nei casi più gravi si propone l’intervento chirurgico.

In vista dell’intervento, è importante per il paziente poter avere una visione d’insieme della patologia, del tipo d’impianto protesico più adatto e del percorso pre- e post-operatorio da affrontare in quanto una maggiore consapevolezza favorisce la collaborazione e quindi un recupero più rapido e completo.

Anatomia dell'anca
L’anca è l’articolazione più grande del corpo e tra le più flessibili: si stabilisce tra la testa del femore, sferica, e la cavità a lato del bacino, l’acetabolo o cotile. Il bordo del cotile è circondato dal labbro acetabolare, un anello di fibrocartilagine che amplia la superficie di contatto e mantiene la pressione interna per una salda tenuta dell’articolazione. (fig. 1, fig. 2) Le superfici articolari sono ricoperte dalla cartilagine, uno strato di tessuto connettivo elastico e resistente che le preserva dall’attrito, eccetto una piccola area all’interno dell’acetabolo e un’altra sulla testa femorale, dove si inserisce il legamento rotondo.

fig. 1, anatomia dell'anca
fig. 2, articolazione dell'anca, vista anteriore
Un breve segmento osseo, il collo femorale, collega la testa al corpo del femore. Alla base del collo, la parte esterna del femore forma due protuberanze, il grande e il piccolo trocantere: qui si inseriscono i tendini dei vari gruppi muscolari coinvolti nei movimenti (flesso-estensione, abduzione-adduzione, rotazione-circumduzione). La capsula articolare, una guaina di tessuto connettivo fibroso che avvolge interamente l’articolazione, incorpora quattro legamenti, robusti cordoni (o nastri) fibrosi che uniscono le ossa e le mantengono in sede durante i movimenti. Questa struttura capsulo-legamentosa ed altri legamenti stabilizzano   l’articolazione. Anche i muscoli, con la loro forza dinamica, hanno un ruolo importante nella stabilizzazione dell’anca. La capsula articolare al suo interno è rivestita da una membrana di tessuto connettivo, la membrana sinoviale. Questa membrana avvolge le porzioni dei capi articolari contenute dalla capsula (eccetto le superfici articolari ricoperte di cartilagine) e secerne il liquido sinoviale, viscoso e denso, che ha la duplice funzione di lubrificare e nutrire l’articolazione. Le borse sierose (vescicole di liquido sinoviale) situate nella zona trocanterica favoriscono lo scivolamento dei tessuti durante i movimenti e ammortizzano gli attriti.
Alcune patologie articolari dell'anca
Le patologie articolari dell’anca sono numerose e dovute a molteplici cause. Tra queste si osservano patologie articolari degenerative causate dall’usura dell’articolazione, patologie articolari infiammatorie, alcune delle quali sono legate a processi autoimmuni, patologie traumatiche come fratture e lussazioni e patologie post-traumatiche (in esito a traumi). Queste patologie, seppure molto diverse tra loro (livello di gravità, cause, decorso), hanno in comune alcune caratteristiche: causano dolore, limitano i movimenti e possono comportare gravi danni a carico delle articolazioni. Alcune di queste patologie, negli stadi avanzati, possono rivelarsi invalidanti e inficiare la qualità della vita.
Osteoartrosi
L’artrosi dell’anca o coxartrosi è la più comune tra le patologie dell’anca nell'adulto. L’osteoartrosi (o artrosi) è una patologia degenerativa cronica che colpisce le articolazioni ed è caratterizzata dalla progressiva distruzione della cartilagine. Questo processo degenerativo coinvolge l’articolazione nel suo complesso. L’artrosi è la più frequente tra le patologie reumatiche, è molto diffusa nel mondo occidentale e colpisce più di frequente le donne. I sintomidell’artrosi esordiscono intorno ai 50 anni rendendo manifesta la malattia rimasta asintomatica per lungo tempo. L’artrosi può colpire anche soggetti giovani, in seguito a traumi, sovraccarico funzionale, in presenza di malformazioni e altre patologie predisponenti.

Classificazione

La classificazione più comune distingue l’artrosi primaria (idiopatica) e l’artrosi secondaria. Non si conoscono cause specifiche correlate allo sviluppo dell’artrosi primaria, esordisce intorno ai 50 anni, dimostra una predisposizione genetica e può interessare più articolazioni. Dell’artrosi secondaria invece, si conoscono gli eventi e le patologie a cui è correlata, ad esempio traumi, malformazioni ed altre patologie predisponenti. Questa distinzione può risultare riduttiva in quanto alcuni aspetti della malattia sono potenzialmente riconducibili sia all’artrosi primaria sia all’artrosi secondaria. Una classificazione più specifica sarà possibile quando le conoscenze sull’artrosi saranno più progredite.

Cartilagine

L’artrosi è caratterizzata dalla degradazione della cartilagine, dell’osso e delle altre strutture articolari. La cartilagine articolare è un tessuto connettivo specializzato, elastico e molto resistente, levigato, di colore bianco perlaceo. La cartilagine riveste interamente le superfici articolari, le preserva dall’attrito durante i movimenti, consente il fluido scivolamento dei capi articolari e ammortizza il carico. La cartilagine non è vascolarizzata per cui le sue capacità rigenerative sono molto scarse e il nutrimento è fornito dal liquido sinoviale.

Cause e fattori di rischio

L’artrosi si sviluppa in età e con tempi diversi, in presenza di differenti condizioni e stati patologici predisponenti. Le lesioni cartilaginee, di differente gravità, coinvolgono tutte le strutture articolari con specifiche alterazioni. La causa prima dell’artrosi non è ancora certa.
  • L’età avanzata può comportare l’usura della cartilagine come conseguenza dell’uso prolungato dell’articolazione. L’invecchiamento di per sé non è causa di artrosi, tuttavia determina un indebolimento della cartilagine che la predispone alle lesioni: perde progressivamente elasticità e resistenza all’attrito e non essendo più in grado di sostenere i carichi sviluppa lesioni più o meno gravi.
  • Il sovraccarico funzionale dovuto all’uso eccessivo di una o più articolazioni (sforzi e movimenti ripetitivi richiesti in alcune attività lavorative e sportive) genera microtraumi che nel tempo possono causare l’usura delle cartilagini; in questi casi l’artrosi può colpire anche soggetti giovani.
  • I traumi come fratture, lussazioni e gravi distorsioni, le malformazioni (displasia dell’anca, deformità assiali in varo e in valgo del ginocchio), possono determinare l’incongruenza delle superfici articolari (non sono più perfettamente aderenti) per la quale i carichi non si distribuiscono in modo uniforme sulle superfici articolari, inoltre, durante i movimenti si genera un attrito anomalo che stressa la cartilagine provocandone l’usura precoce. I traumi possono causare instabilità articolare e, più raramente, lesioni dirette alla cartilagine.
  • Numerose altre patologie possono alterare la meccanica e la biologia delle strutture articolari e comportare il progressivo deterioramento della cartilagine, anche precoce. Alcuni esempi: patologie metaboliche ed endocrine, come diabete, obesità, iperparatiroidismo; patologie osteoarticolari come >necrosiasettica, spondiloartrite; artriti settiche; artriti infiammatorie (artrite reumatoide, artrite psoriasica); artriti da cristalli (gotta); alcune malattie ereditarie (sindrome di Ehlers-Danlos, emocromatosi, sindrome di Marfan).

Sviluppo dell’artrosi

La cartilagine danneggiata si assottiglia progressivamente fino a esporre, con gradualità, l’osso sottostante. (fig. 3, fig. 4) L’osso reagisce al processo degenerativo addensandosi (sclerosi), molto spesso produce piccole formazioni appuntite (osteofiti) lungo i margini delle superfici articolari e piccole cavità ossee (pseudocisti o geodi). Il processo degenerativo coinvolge le altre strutture articolari: la membrana sinoviale si ispessisce, la capsula diviene fibrotica. Anche i legamenti possono diventare fibrotici e retratti, i menischi possono lesionarsi. I muscoli, per la diminuita funzionalità, perdono forza, massa e tono. L’articolazione è dolorante, tumefatta e rigida. Nei casi più avanzati si osservano deformità e severa limitazione funzionale. Le articolazioni più colpite dall’artrosi sono quelle maggiormente sottoposte a carico: ginocchio, anca, spalla, mani, piedi e colonna vertebrale.
fig. 3, articolazione dell’anca normale
fig. 4, artrosi dell’anca


Prevenzione

Adottare un corretto stile di vita consente di controllare alcuni fattori di rischio che favoriscono l’artrosi: mantenere il peso forma; evitare posture scorrette, carichi eccessivi e ripetuti, attività sportive ad alto impatto sull’articolazione; praticare regolarmente una moderata attività fisica per mantenere la muscolatura forte e tonica; non fumare; seguire una dieta varia ed equilibrata. Qualora l’artrosi sia presente, a maggior ragione sarà importante osservare regole salutari e praticare una attività fisica adeguata, per non agevolare il processo artrosico e per mantenere in forma l’organismo nel suo complesso.
Non esistono, ad oggi, trattamenti risolutivi per l’artrosi e quando le terapie farmacologiche, la fisioterapia e la chirurgica conservativa non sono più efficaci, si può ricorrere alla sostituzione dell’articolazione con una protesi.
L'artrosi post-traumatica dell’anca
L’artrosi post-traumatica dell’anca è una diffusa patologia degenerativa cronica che si sviluppa in seguito a traumi ad alta energia (incidenti stradali, infortuni lavorativi e sportivi) che hanno provocato lussazione dell’articolazione, fratture, lesioni alla cartilagine e al labbro acetabolare, lesioni e lassità della struttura capsulo-legamentosa. In molti casi dopo un trauma le strutture dell’articolazione non guariscono perfettamente, ad esempio le fratture possono generare anomalie della meccanica articolare, oppure lesioni alla capsula, ai legamenti e al cercine che possono comportare instabilità di vario grado. Si può determinare una incongruenza delle superfici articolari non più perfettamente aderenti, ad esempio a causa di esiti di fratture o per instabilità. La perdita della congruenza è causa di irregolare distribuzione dei carichi sulle superfici articolari e produce un “attrito anomalo” durante i movimenti. Tutto questo comporta il deterioramento progressivo della cartilagine e conseguente sviluppo dell’artrosi. L’artrosi post-traumatica può manifestarsi anche diversi anni dopo l’evento traumatico.
Instabilità articolare dell’anca dell’adulto
L’articolazione dell’anca è molto stabile grazie alla propria conformazione: la testa femorale è quasi interamente inserita nell’acetabolo e questo stabilisce una salda unione tra i due capi, rafforzata dal legamento rotondo e dal labbro acetabolare. La struttura capsulo-legamentosa e altri legamenti esercitano una forte azione di contenimento (stabilizzante) che mantiene in sede la testa del femore; i muscoli, inoltre, intervengono come stabilizzatori dinamici. L’instabilità dell’anca è una patologia rara e interessa in prevalenza gli sportivi (golf, atletica, ecc.). Può essere difficile da diagnosticare e presenta vari livelli di gravità. L’instabilità dell’anca è determinata da una eccessiva libertà di movimento della testa femorale che ha perduto il perfetto allineamento con l’acetabolo. Il movimento eccessivo è dovuto a patologie delle strutture di contenimento dell’articolazione: ad esempio lassità della struttura capsulo-legamentosa -che può anche essere congenita- e lesioni capsulo-legamentose causate da traumi ad alta energia come fratture e lussazioni. Anche lesioni del labbro   acetabolare, più raramente dei tendini e dei muscoli, possono alterare la biomeccanica dell’articolazione fino a comportare l’instabilità. I trattamenti variano in base al tipo di lesione, ad esempio in artroscopia si possono trattare lesioni capsulo-legamentose e del labbro. La fisioterapia è fondamentale per riequilibrare la funzionalità dell’arto e per rafforzare e tonificare i muscoli che concorrono a stabilizzare l’articolazione. Una adeguata muscolatura, inoltre, è molto importante nella prevenzione dell’instabilità dell’anca, in special modo per gli sportivi. L’instabilità dell’anca può essere causata anche da anomalie morfologiche come nella displasia evolutiva dell’anca. Quando la displasia è diagnosticata alla nascita può essere trattata con eccellenti risultati, invece quando viene diagnosticata in età adulta, l’instabilità ha avuto il tempo di causare danni più o meno gravi. Nei casi più estremi si osserva la migrazione della testa femorale oltre l’acetabolo (lussazione inveterata dell’anca).
Artrite reumatoide
Le grandi articolazioni dell’anca, del ginocchio e della spalla possono essere colpite dall’artrite reumatoide. L’artrite reumatoide è la più frequente tra le artriti infiammatorie croniche, è di natura autoimmune e colpisce prevalentemente le donne tra 40 e 50 anni. La membrana sinoviale riveste interamente le articolazioni ed è l’oggetto principale del processo autoimmune che, attivando cellule infiammatorie e autoanticorpi, sviluppa un’infiammazione (sinovite) acuta che si auto-mantiene e cronicizza. Con l’aggravarsi del processo infiammatorio la membrana si ispessisce e forma un nuovo tessuto molto vascolarizzato (panno articolare) ricco di enzimi che degradano progressivamente le cartilagini ed erodono l’osso sottostante. L’infiammazione danneggia anche i tendini, i legamenti e la capsula articolare. La malattia tende a colpire altre piccole articolazioni, la colonna vertebrale e le grandi articolazioni del ginocchio, della spalla e dell’anca. In alcuni casi l’artrite reumatoide coinvolge anche altri tessuti e organi come la cute, i polmoni e l’occhio. La patologia presenta vari livelli di gravità in base al periodo in cui si sviluppano le erosioni ossee, alla loro gravità e diffusione. L’esordio dell’artrite reumatoide è molto diversificato e i sintomi rispecchiano la gravità della malattia. Generalmente all’inizio colpisce le piccole articolazioni delle mani e dei polsi, spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra) per poi progredire coinvolgendo altre articolazioni. I sintomi principali sono il dolore, la caratteristica rigidità duratura al mattino, tumefazione e limitazione funzionale. Con la progressione della malattia il dolore è più persistente ed i movimenti sono più difficoltosi. Negli stadi avanzati si osservano deformità delle articolazioni e, spesso, la perdita totale della flessibilità articolare (anchilosi). Nella maggioranza dei casi l’artrite reumatoide presenta una lenta evoluzione in cui si alternano fasi attive a periodi di quiescenza. Nelle forme aggressive si riscontra una rapida progressione delle lesioni articolari. Si osserva, inoltre, una minoranza di forme benigne autolimitanti. I trattamenti sono volti a rallentare il processo infiammatorio, ad alleviare i sintomi e, nei casi possibili, a provocare la regressione dell’infiammazione.
Necrosi avascolare
La necrosi avascolare, detta anche osteonecrosi, colpisce aree ossee delimitate, in particolar modo la superficie articolare delle estremità (epifisi) delle ossa lunghe, molto spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra). La necrosi avascolare si verifica per il mancato afflusso di sangue al tessuto osseo che causa la morte delle cellule per assenza di nutrimento e ossigeno. Il processo necrotico determina piccole fratture localizzate che destrutturano il tessuto osseo fino a comportare, nel tempo, il collasso (crollo) dell’osso. La diagnosi precoce della malattia consente di ricorrere ai trattamenti possibili, con risultati spesso soddisfacenti. Quando non trattata o quando i trattamenti non raggiungono i risultati sperati, la necrosi avascolare comporta lo sviluppo dell’artrosi. L’articolazione dell’anca è in assoluto la più colpita da questa patologia, seguita, in misura minore, da ginocchio, spalla, polso, caviglia, mandibola. La necrosi avascolare colpisce anche altre articolazioni e regioni ossee non articolari. Le patologie e le condizioni correlate allo sviluppo della necrosi avascolare sono molteplici: patologie di origine traumatica come fratture, lussazioni e lesioni dei vasi sanguigni; tra le condizioni più frequenti si osservano terapie cortisoniche a lungo termine e alcolismo; seguono chemioterapia, radioterapia, embolie, lupus eritematoso, anemia falciforme, trombosi, HIV, cirrosi epatica, morbo di Crohn, diabete, ecc. Nell’anca le lesioni necrotiche si verificano nell’area apicale della testa del femore. (fig. 5) I sintomi di esordio della necrosi femorale sono simili a quelli della coxartrosi. Nelle fasi iniziali della malattia si può ricorrere a trattamenti incruenti: farmaci, terapie con onde d’urto, campi elettromagnetici, camera iperbarica. Sempre nelle fasi iniziali, soprattutto in assenza di collasso dell’osso, può essere indicato l’intervento chirurgico, in special modo per pazienti molto giovani. Gli interventi possibili sono numerosi e mirano a ristabilire l’afflusso di sangue ed a stimolare la rigenerazione dell’osso, tra questi i più eseguiti sono gli interventi di decompressione del nucleo della testa femorale e il trapianto osseo. Una tecnica chirurgica emergente (SOIB) si avvale di una piccola vite cava che si impianta nella testa femorale e funge da veicolo per farmaci e preparati rigenerativi dell’osso. Nei casi non trattati o che non rispondono positivamente alle cure, la destrutturazione dell’osso determina il collasso della parte superiore della testa femorale e conseguente sviluppo della coxartrosi.

fig. 5, necrosi avascolare asettica della testa femorale
By Jmarchn [CC BY-SA 3.0 or GFDL], from Wikimedia Commons
Specifiche patologie dell'anca

Conflitto Femoro-Acetabolare (FAI)

Questa patologia è dovuta all’imperfetta conformazione anatomica dei capi articolari (uno o entrambi) che determina un attrito anomalo della testa del femore sul labbro acetabolare durante i movimenti. Gli urti nel tempo provocano lesioni al labbro acetabolare di varia entità. Il labbro è un anello di fibrocartilagine che contorna il bordo dell’acetabolo come una guarnizione: ampliando la superficie di contatto della testa femorale, sopporta parte del carico e dà maggiore stabilità all’articolazione, inoltre ammortizza gli attriti della testa sul bordo del cotile nelle occasioni di massima escursione dei movimenti e mantiene la giusta pressione del liquido sinoviale all’interno dell’articolazione. La malattia è più frequente tra i giovani adulti, in particolar modo tra gli sportivi, può esordire in modo subdolo ed episodico, ad esempio dopo uno sforzo fisico, solitamente con dolore a livello dell’inguine o del gluteo. L’esecuzione di movimenti estremi, fino al limite permesso dall’articolazione, favorisce il conflitto. Nelle persone sedentarie, infatti, il conflitto può restare silente tutta la vita. Esistono tre tipi di conflitto:
  • nel conflitto CAM (fig. 6, al centro) il punto di giunzione tra il collo femorale e la testa presenta un rigonfiamento osseo che urta il labbro acetabolare durante i movimenti. L’attrito, nel tempo, causa lesioni al labbro e alla cartilagine. Il conflitto CAM è più diffuso nei giovani adulti.
  • Il conflitto Pincer (fig. 6, a destra) invece, presenta l’acetabolo troppo avvolgente. La testa femorale, ruotando, urta il bordo del labbro e ne causa la lesione. Il conflitto Pincer è più frequente nelle donne adulte.
  • Il conflitto misto  è dato dall’associazione dei primi due ed è il più diffuso.
fig 6, articolazione normale (a sinistra), conflitto CAM (al centro), conflitto PINCER (a destra)
Il labbro lesionato perde le capacità stabilizzanti e si possono determinare alterazioni della rotazione dell’anca. Ognuno dei conflitti può causare lesioni alla cartilagine e all’osso e relativo processo degenerativo delle altre strutture articolari. La diagnosi precoce della malattia permette di correggere le anomalie e di prevenire lo sviluppo di una coxartrosi precoce.
Patologie infantili dell’anca

La displasia evolutiva dell’anca

La displasia evolutiva dell’anca è la più diffusa tra le patologie infantili dell’anca, colpisce in prevalenza le femmine e i nati con parto podalico. La patologia presenta differenti gradi di gravità sin dalla nascita: l’anca può essere instabile, per cui tende a lussarsi, o essere già lussata, a causa di lassità capsulo-legamentosa e/o di anomalie dell’acetabolo che impediscono alla testa femorale di articolarsi correttamente. La diagnosi precoce, entro i primi due mesi di vita, permette il recupero completo nella quasi totalità dei casi con un trattamento conservativo. Anche dopo i 2/3 mesi di età fino al cammino, i trattamenti conservativi sono generalmente efficaci. Una diagnosi tardiva, appena dopo il cammino, può rilevare la lussazione dell’anca e richiedere trattamenti più impegnativi. La malattia evolve durante i primi anni di vita causando danni all’articolazione; in questa fase i trattamenti sono chirurgici e i risultati variano in base all’età in cui la displasia è stata diagnosticata. Quando non è diagnosticata in tempo utile per un trattamento risolutivo, la displasia dell’anca lascia esiti permanenti di vario grado di gravità e comporta il rischio elevato di sviluppare una coxartrosi precoce.(fig. 7) Nella maggior parte dei casi si riscontra l’anomalia dell'acetabolo, cresciuto piatto e con margini sfuggenti, che non può accogliere perfettamente la testa femorale. Nei casi più gravi, l’instabilità conduce al dislocamento della testa oltre il bordo dell’acetabolo (lussazione inveterata dell’anca) che può determinarsi anche in pazienti molto giovani. I trattamenti chirurgici sono complessi, in giovane età si possono eseguire osteotomie del bacino e/o del femore che mirano a correggere la posizione dei capi articolari ed a prevenire, o almeno a ritardare il più possibile, il processo artrosico.

fig. 7, displasia dell’anca di I grado nell’adulto

La malattia di Perthes

La malattia di Perthes colpisce tra i 2 e gli 11 anni circa, i maschi più di frequente, determinando lesioni necrotiche al tessuto della testa femorale (in accrescimento) dovute a mancata perfusione sanguigna. L’episodio di necrosi è seguito da una fase riparativa: l’area lesionata si rivascolarizza e produce nuovo tessuto. La malattia può durare due o tre anni. L'esordio della malattia è lento: dolore moderato all’inguine o al ginocchio, zoppia dopo esercizio fisico. Più avanti il dolore aumenta, la zoppia si aggrava e i movimenti sono limitati. La diagnosi precoce prima dei 4/5 anni è fondamentale: il trattamento a quest’età è generalmente conservativo e permette un recupero completo, solo nei casi gravi si ricorre all’intervento chirurgico. Una diagnosi oltre i 6/7anni richiede l’intervento chirurgico che a volte non raggiunge i risultati sperati: quando il rimodellamento della testa femorale non avviene perfettamente, la residua deformità comporta un’alterazione dei movimenti dell’anca. L’incongruenza articolare causa l’usura eccessiva della cartilagine e conseguente sviluppo di artrosi precoce. Quando la malattia insorge dopo i 9/10 anni, il rischio di sviluppare una coxartrosi precoce è elevato.

Epifisiolisi

L’epifisiolisi colpisce durante l’adolescenza, in prevalenza i maschi, ed è spesso associata a obesità. La malattia determina lo scivolamento della testa femorale verso il basso dovuto a lesioni della cartilagine di accrescimento dell’epifisi prossimale del femore. L'epifisiolisi acuta esordisce con dolore improvviso. L’evento acuto costituisce un’emergenza chirurgica poiché lo scivolamento repentino della testa femorale può causare una sofferenza vascolare e provocare una necrosi ossea. A volte succede che l’epifisiolisi cronica evolve rapidamente causando un episodio acuto. L’epifisiolisi cronica è subdola. Il lento scivolamento della testa femorale provoca inizialmente dolore sfumato e zoppia occasionale. I sintomi si aggravano nel tempo. Nella forma cronica è raro il verificarsi di una necrosi alla testa femorale poiché la lenta modificazione della posizione della testa consente un adattamento dell’articolazione e dei vasi sanguigni. La diagnosi precoce è fondamentale per consentire prima possibile il trattamento che in genere ottiene buoni risultati. Se la malattia non è diagnosticata in tempo, lo scivolamento progredisce causando la lenta deformazione della testa e del collo femorale; al termine dell’accrescimento la cartilagine di coniugazione si ossifica comportando la definitiva deformità del capo articolare. I trattamenti chirurgici, mirati a ristabilire la corretta posizione della testa femorale, variano in base alla natura acuta o cronica della malattia e al grado di scivolamento della testa del femore. Questa patologia comporta un alto rischio di sviluppare una coxartrosi precoce.
Quali sono i sintomi dell'artrosi dell'anca?
  • All’inizio si può avvertire un dolore all’inguine, nell’area anteriore o laterale della coscia, a volte al gluteo; in alcuni casi il dolore può irradiarsi al ginocchio.
  • Dolore e gonfiore risultano accentuati dopo un periodo di inattività, specialmente al mattino.
  • Si può avvertire una sensazione di debolezza dell’arto associata ad una limitazione del ROM (Range Of Motion: l’ampiezza massima di movimento, misurata in gradi, che l’articolazione può raggiungere).
  • Con l’aggravarsi della malattia si può avvertire un dolore acuto nell’eseguire i movimenti che rende difficile svolgere le più semplici attività quotidiane come camminare, accucciarsi, lavarsi, vestirsi, tagliare le unghie dei piedi, alzarsi da una sedia.
  • Nelle fasi avanzate il dolore aumenta salendo e scendendo le scale, dopo aver camminato per brevi tratti, inoltre può impedire il restare seduti correttamente.
  • Il dolore, da moderato ad acuto, si può avvertire anche a riposo e a volte può impedire il sonno.
  • I cambiamenti meteorologici possono accentuare l'intensità del dolore.
Trattamenti dell'artrosi dell'anca
I trattamenti dell’artrosi dell’anca sono volti ad alleviare il dolore ed a rallentare il processo artrosico.
  • Nella fase iniziale la malattia è trattata con farmaci antidolorifici e antiinfiammatori.
  • Sono consigliati integratori alimentari a base di condroprotettori, da assumere a periodi.
  • Sono indicate infiltrazioni intra-articolari con acido ialuronico (condroprotettore) volte a rallentare la degenerazione della cartilagine.
  • Si consiglia di evitare le attività fisiche ad alto impatto sull’articolazione e di interrompere quelle attività che causano dolore durante o dopo l’esercizio.
  • Fisiokinesiterapia e una moderata attività fisica a basso impatto sull’articolazione dell’anca come il nuoto, la cyclette, la camminata, a patto che non causino dolore, sono molto importanti per rafforzare i muscoli e per mantenere la mobilità articolare.
  • In alcuni casi si eseguono infiltrazioni intra-articolari con cortisone.
  • Il calo ponderale è fondamentale per diminuire il carico sull’articolazione.
  • L’utilizzo delle stampelle è utile per diminuire il carico durante i movimenti.
Quando farmaci, terapie intra-articolari, trattamenti artroscopici e fisioterapia non sono più efficaci, nei casi più gravi si propone la sostituzione dell’articolazione dell’anca. L’intervento è volto a eliminare il dolore e a recuperare la mobilità dell’arto. È importante che l’intervento venga pianificato in accordo tra il paziente e la sua famiglia, il medico di base e il chirurgo ortopedico.
Impianti protesici dell'anca
Le moderne tecniche chirurgiche e il progresso tecnologico oggi consentono di affrontare differenti situazioni cliniche e di offrire al paziente un rapido recupero post-operatorio, una elevata funzionalità articolare e una lunga durata dell’impianto. Gli impianti protesici attuali, performanti e diversificati, sono realizzati con materiali di elevata resistenza all’usura e ottima biocompatibilità. La protesi dell’anca, (fig. 8, fig. 9) disponibile in diversi modelli e in varie dimensioni, è costituita da quattro componenti realizzate in polietilene, ceramica e titanio. La cavità cotiloidea accoglie la coppa acetabolare in titanio nella quale va posizionato l’inserto -in polietilene o ceramica- che costituisce la superficie di contatto della testina femorale; quest’ultima, realizzata in metallo o ceramica, viene assemblata allo stelo in titanio che va inserito nel canale femorale. Oggi questi impianti sono privi di nichel.
fig. 8, esempio di impianto completo
fig. 9, componenti protesi d’anca: coppa acetabolare e inserto
Le componenti protesiche in genere sono fissate all’osso ospite a pressione (press-fit); con questa operazione si ottiene la stabilità primaria dell’impianto; successivamente, con il processo di osteo-integrazione (il tessuto osseo, crescendo, penetra e si ancora alla superficie rugosa della componente) si realizza la stabilità secondaria. Nei casi in cui la qualità dell’osso non è ottimale, ad esempio nei pazienti affetti da grave osteoporosi, la protesi viene cementata. La scelta del modello di protesi da utilizzare è operata dal chirurgo in base alla valutazione di diversi parametri: età del paziente, solidità dell’osso, danno articolare, patologie di base, peso, ecc.
L'intervento chirurgico

Prima dell’intervento

Nel periodo preoperatorio vengono effettuati esami strumentali, analisi biochimiche e visite mediche volti ad accertare che le condizioni di salute del paziente siano idonee ad affrontare l’intervento: si accerta l’assenza di patologie silenti pericolose per l’intervento, si esaminano eventuali patologie presenti e terapie in atto.

Il giorno dell’intervento

Al paziente viene somministrato un farmaco per favorire il rilassamento e viene invitato a rimanere a letto.

In sala operatoria

Il paziente viene accompagnato in un’area preoperatoria dove un operatore predispone l’accesso venoso inserendogli una cannula in una vena dell’avambraccio o della mano. Questo presidio è necessario per l’infusione endovenosa di fluidi e farmaci durante l’intervento. Successivamente il paziente viene condotto in sala operatoria e posizionato sul letto chirurgico dove l’anestesista procede all’induzione dell’anestesia e al monitoraggio continuo delle funzioni vitali fino al momento del risveglio. Alcuni tipi di anestesia rendono insensibile solo il distretto corporeo da operare e lasciano il paziente cosciente, l’anestesia generale invece lo addormenta profondamente: il paziente non avverte dolore, non si accorge di ciò che avviene intorno a sé e non avrà ricordi. Il tipo di anestesia viene deciso dall’anestesista in base ai protocolli vigenti.

Come si svolge l’intervento

Per accedere all’articolazione dell’anca il chirurgo pratica un’incisione anteriore mininvasiva, laterale o posterolaterale secondo le esigenze; il secondo passo è spostare la testa femorale dall’acetabolo e rimuoverla tagliando il collo del femore. A questo punto, utilizzando un alesatore, vengono eliminati i residui di cartilagine dalla cavità acetabolare e viene modellato l’acetabolo per permettere il perfetto inserimento della coppa; dopo il posizionamento della coppa cotiloidea (che subirà il processo di osteo-integrazione) viene introdotto l’inserto. Si prosegue con la preparazione dell’estremità del femore: con speciali raspe viene fresata la parte prossimale del femore che deve accogliere lo stelo protesico; a questo punto si inserisce lo stelo nel canale femorale (subirà il processo di osteo-integrazione) e la testina viene assemblata sul collo dello stelo. Una volta ricontrollate tutte le componenti e la stabilità dell’impianto, la nuova articolazione viene ridotta (la testina femorale viene inserita nella coppa acetabolare) e si conclude con la sutura dell’incisione. (fig. 10, fig. 11, fig. 12)

fig. 10, artroprotesi dell’anca
fig. 11, anca displasica
fig. 12, anca displasica dopo l’intervento di artroprotesi

Familiari

Familiari e amici possono rimanere nell’apposita area di attesa mentre il paziente è in sala operatoria; al termine dell’intervento il chirurgo informa i congiunti sulle condizioni generali del paziente e sull’intervento. Il paziente rimane per breve tempo nella sala di risveglio poi viene ricondotto nella stanza dove potrà ricevere le visite.

Dopo l'intervento

Per qualche giorno il paziente deve rimanere in ospedale dove è monitorato dai medici e dal personale infermieristico. I fisioterapisti lo istruiscono sulla corretta esecuzione di esercizi fisici volti a riacquistare il movimento. Il dolore post-operatorio è temporaneo. Alle dimissioni vengono fornite le indicazioni da seguire per una corretta riabilitazione dell’arto, ad esempio quali movimenti evitare, come sedersi, come scendere e salire le scale, inoltre viene prescritto un programma di esercizi da eseguire a casa o presso una struttura dedicata. Con la ripresa delle attività quotidiane il paziente nota un progressivo aumento di forza e resistenza dell’arto, tuttavia nei primi tempi alcune attività devono essere evitate, ad esempio saltare, correre, sollevare pesi eccessivi, praticare sport di contatto. Sono invece consigliate attività a basso impatto sull’articolazione come il nuoto e la camminata, che vanno intraprese in accordo con il chirurgo.
Domande più frequenti

Quanto si rimane in ospedale?

In genere da 4 a 7 giorni dopo l'intervento ma dipende da molti fattori ed è il chirurgo a stabilire la durata della degenza.

Se il paziente vive solo avrà bisogno di un aiuto in casa?

Sì, è consigliabile l’aiuto di qualcuno per svolgere i lavori domestici più pesanti e per essere accompagnati in auto. Non è necessario personale specializzato, possono svolgere questi compiti una persona di famiglia o un amico, in grado di somministrare farmaci e tenere in ordine i bendaggi.

Quali ausili bisogna procurarsi in vista del ritorno a casa?

Un deambulatore o le stampelle. Il fisioterapista e il medico indirizzano verso l’una o l’altra soluzione valutando quale dei due ausili sia il più sicuro e per quanto tempo debba essere usato.

Dopo l’intervento è necessaria la fisioterapia?

Il programma personalizzato di riabilitazione, pianificato dal chirurgo e dal fisioterapista, inizia in ospedale subito dopo l’intervento e deve proseguire, a casa o presso una struttura dedicata, con l’esecuzione scrupolosa degli esercizi prescritti volti ad aumentare il ROM e la forza.

Quando si può riprendere a guidare?

Il paziente deve far riferimento al chirurgo per conoscere con precisione i tempi di recupero che sono legati alla tecnica chirurgica e al tipo di protesi, inoltre va valutato se l’intervento è stato eseguito all’arto destro o sinistro. Va considerato anche il tipo di auto guidata.

Quando si può tornare al lavoro?

I progressi conseguiti in fase riabilitativa e il tipo di lavoro sono fattori determinanti per stabilire quando rientrare: un lavoro pesante richiede tempi di recupero più lunghi rispetto a un impiego sedentario. Generalmente è necessario un periodo di riposo e cure da uno a tre mesi, in base al tipo di intervento, alle condizioni di salute del paziente ed alle attività che si dovranno riprendere.

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